Il Paesaggio rurale storico
Il paesaggio non viene più considerato oggi come una semplice sommatoria di oggetti naturali e artificiali bensì viene letto in una visione olistica e sistematica, intendendolo innanzitutto come una serie di sistemi di elementi e di relazioni (spaziali, funzionali, ecologico-ambientali, visive, simboliche etc.), che si sono susseguiti e intrecciati nel corso dei secoli sullo stesso territorio.
Per paesaggi storici s’intendono quei paesaggi che sono presenti in un determinato territorio da lungo tempo e che risultano stabilizzati o evolvono molto lentamente;
I paesaggi tradizionali invece, a differenza di quelli storici che hanno una collocazione in un preciso arco temporale, sono considerati quelli che si sono consolidati prima della rivoluzione industriale e che hanno subito lente modificazioni nel tempo, in accordo all’ambiente naturale.
I paesaggi tradizionali e storici, inoltre, si distinguono per il genius loci ovvero per un senso unico, uno spirito del luogo. Il concetto di genius loci tuttavia è strettamente associato con l'identità di ogni paesaggio e sottolinea la sua unicità. Esso contiene la complessa storia di un luogo o di una regione, che ancora si può leggere dalla sua composizione e struttura.
I paesaggi rurali tradizionali e storici, infatti, si distinguono per una lunga storia evolutiva nel corso dei secoli e per la loro riconoscibile struttura in cui gli elementi biotici, abiotici e culturali sono in armonia tra di loro.
I paesaggi agricoli storici e tradizionali sono generalmente legati all’impiego di pratiche e tecniche tradizionali ovvero quelle caratterizzate da un ridotto impiego di energie sussidiarie esterne in termini di meccanizzazione, irrigazione, concimazioni chimiche e utilizzo di agrofarmaci nonché legati alla presenza di ordinamenti colturali caratterizzati da una lunga persistenza storica e forti legami con i sistemi sociali ed economici locali che li hanno formati.
La struttura formale ovvero la fisionomia del paesaggio ha una propria forma fisica e un’organizzazione spaziale specifica definita dai caratteri degli elementi visibili sul territorio (elementi fisici) che segnano una determinata area e che influenzano direttamente la percezione del paesaggio. In altri termini, si tratta di un insieme di elementi soggetti ad evolvere nel tempo, che definiscono un sistema spaziale vero e proprio, caratterizzato da una doppia interdipendenza: formale (strutturale) e funzionale. Il paesaggio, infatti, può essere trattato come un palinsesto costituito dagli elementi provenienti da diversi periodi di tempo che sono stati cancellati, modificati o tramandati fino ai tempi d'oggi
PAESAGGIO RURALE STORICO E TRADIZIONALE SICILIANO AD OGGI CLASSIFICATO:
Agrumeti della Conca d'Oro
Il paesaggio dell'agrumicoltura periurbana, esteso circa 792 ha, è posto nella estremità orientale del comune di Palermo ed in minima parte nei territori comunali di Villabate, Misilmeri e Palermo. La significatività dell'area è dovuta alla persistenza storica dell'agrumicoltura tradizionale, risalente alla dominazione araba, che ha fatto sì che la pianura che circonda la città di Palermo fino alla metà del secolo scorso fosse un unico, grande "giardino", come intendono gli agricoltori siciliani quando si riferiscono a un frutteto, soprattutto se di agrumi. Nelle parti a quote più elevate, ai piedi dei rilievi calcarei, gli agrumi si trovano su terrazzamenti in pietra. Tra i frutti coltivati, il più diffuso è il mandarino "tardivo di Ciaculli", al quale si affiancano il mandarino Avana, le nespole giganti rosse di Ciaculli, i limoni e piccole quantità di albicocche e arance. Il paesaggio di Ciaculli e di Croceverde mantiene oggi una buona integrità, essendo stato risparmiato dall'espansione edilizia di Palermo negli anni Sessanta-Settanta. L'elevato grado di parcellizzazione delle superfici aziendali aumenta la vulnerabilità di questo sistema, non consentendo di ridurre i costi di produzione. A ciò si aggiunge la crescente pressione della città con la progressiva diffusione, spesso illegale, dell'abitato, che rischia di alterare irreversibilmente i valori rappresentati da questo paesaggio storico.
Arboricoltura promiscua della Valle dei Templi
Il paesaggio dell'arboricoltura promiscua della Valle dei Templi si estende per circa 417 ha nel comune di Agrigento. La significatività dell'area è legata all'importanza storica della Valle dei Templi, ma anche allo straordinario contesto paesaggistico in cui questi sono inseriti. I monumenti archeologici classici si trovano infatti in un paesaggio agrario di grande interesse perché rappresentativo dell'arboricoltura promiscua in asciutto che un tempo dominava il paesaggio siciliano, dove la coltura degli alberi si era affermata al posto dei seminativi. Il paesaggio della valle è oggi costituito da un vasto mandorleto in coltura promiscua con olivi e con presenza di carrubo, ficodindia o pistacchio nei terreni più poveri. Fino a un secolo addietro si trattava prevalentemente di un seminativo arborato piuttosto rado coltivato a frumento, fava e sulla, in successione con il maggese pascolato. L'attività del parco ha limitato i rischi derivanti da ricorrenti fenomeni di abusivismo edilizio, mantenendo integre le caratteristiche principali agricole, ma la forte pressione antropica resta la principale minaccia per il paesaggio locale.
Il bosco della Ficuzza
Il paesaggio forestale e silvo-pastorale del bosco di Ficuzza è esteso per circa 4156 ha, nei comuni di Monreale, Godrano, Corleone, Mezzojuso, Marineo e Piana degli Albanesi. La significatività dell'area è da ricercare nella sua storia e nel ruolo assunto dal bosco della Ficuzza nel paesaggio siciliano. Le origini storiche del paesaggio attuale risalgono alla fine del Settecento, quando Ferdinando I di Borbone si ripara in Sicilia e vi costruisce la "Real Casina", dove risiedere per esercitare la passione della caccia, trasformando questo luogo in una riserva venatoria. Il territorio presenta assetti paesaggistici caratterizzati da boschi di querce caducifoglie e sempreverdi (roverella, leccio e sughera), in formazioni pure e miste, prati-pascoli e piccoli coltivi ai margini, con oliveti e vigneti, in un contesto in cui sono diffusi antichi bagli e masserie. Tra le specie vegetali si segnalano due endemismi, la Quercus gussonei e il bagolaro siciliano (Celtis asperrima). Il livello di integrità ha subìto nel tempo diverse modificazioni, sempre nel segno di una rilevante impronta antropica. Negli ultimi decenni l'uso silvo-pastorale è risultato eccessivo, rispetto agli usi sostenibili e oculati del passato. La vulnerabilità del paesaggio è, di conseguenza, piuttosto alta. Ad aggravare il quadro di vulnerabilità di queste aree si somma l'effetto degli incendi e la mancata realizzazione di piani di assestamento forestale.
I carrubbeti dei campi chiusi dei Monti Iblei
Il paesaggio del pascolo arborato a carrubo dei Monti Iblei si estende per circa 2277 ha, nel territorio comunale di Ragusa ed in minima parte in quello di Santa Croce Camerina. La significatività del paesaggio agrario a campi chiusi risiede nella persistenza storica di un fitto reticolo di muretti a secco che identificano il territorio formando poligoni geometrici detti chiuse. Queste, a partire dal XIV secolo, quando fu concessa ai contadini la terra in enfiteusi, delimitano seminativi e colture legnose specializzate o, più spesso, consociate, di olivo, mandorlo e soprattutto carrubo, che connota fortemente il paesaggio, con sesti d'impianto irregolari e una densità media per ettaro che varia da 10 a 20 piante. L'area mantiene integri gli aspetti paesaggistici del pascolo arborato e delle chiuse, ed è caratterizzato da terrazzamenti, anch'essi ben conservati, in prossimità dei profondi valloni. L'integrità di tale sistema è mantenuta in buone condizioni, grazie al perdurare dell'uso produttivo attraverso interventi colturali inseriti in un sistema di rotazione biennale. L'area in esame non presenta molti elementi di criticità, se non quelli relativi a ristrutturazioni di ville private e di masserie condotte senza rispettare le forme e i materiali tradizionali.
I frassineti da manna
Il paesaggio agro-forestale dei frassineti da manna si estende per circa 2592 ha, nei comuni di Pollina e Castelbuono. La significatività dell'area è legata ai caratteri di unicità della coltivazione del frassino da manna, e alla sua importanza storica, testimoniando una tradizione che ha avuto origine con la dominazione araba. Il più antico documento che menziona la manna in Sicilia risale al 1080 in un diploma del vescovo di Messina, ma la coltivazione della manna sembra risalire alla dominazione degli Arabi La coltivazione del frassino da manna è oggi molto limitata, e occupa solo 250 ettari, in buona parte su terreni scoscesi, ritenuti marginali per le più redditizie colture agricole. La frammentazione di questa coltura e la frequente promiscuità con altre specie arboree da frutto tradizionali ha generato un paesaggio agro-forestale tradizionale di indubbio valore. I frassineti sono per lo più disetanei e a sesti irregolari, con una densità media di circa 280 piante a ettaro e cominciano a produrre all'età di sei-otto anni. L'integrità e la vastità dei paesaggi a frassino da manna sono stati notevolmente ridotti nell'ultimo secolo. Per ciò che riguarda la vulnerabilità si osserva che la coltivazione del frassino è in forte declino. I frassineti non coltivati sono interessati dall'avvio di successioni secondarie o da frequenti incendi.
Pietra a secco di Pantelleria
I paesaggi rurali dell'isola di Pantelleria, situata nel Canale di Sicilia e che amministrativamente fa parte del comune di Pantelleria, si estendono nella parte meridionale dell'isola per circa 897 ha. La significatività dell'area è strettamente legata al secolare impegno dall'agricoltura pantesca per rispondere a limiti ambientali che caratterizzano il paesaggio dell'isola. Le tecniche di coltivazione si basano sulla necessità di risparmio idrico e protezione dai venti dominanti, frequenti e intensi, e il paesaggio risultante è costituito da un mosaico agrario di colture tradizionali non irrigue su terrazzamenti, protette da muretti a secco, di straordinario fascino estetico e di grande impatto scenico. Singolare, la presenza dei "giardini panteschi": edifici in pietra a secco alti fino a 4 m e con spessori di circa un metro che contengono al loro interno anche un solo agrume. La coltura più diffusa è ancora oggi la vite, nella forma dell'alberello pantesco, coltivata in conche che oltre ad accumulare l'acqua piovana proteggono i grappoli dal vento. Gli olivi sono potati in modo da assumere forme molto basse con le branche adagiate al suolo. Il cappero, che si trova eccezionalmente in coltura specializzata, è anch'esso su terrazzamenti con muri a secco. L'area considerata è ritenuta esemplare dei caratteri tradizionali del paesaggio, e mantiene una buona integrità e gran parte delle attività agricole, rispetto a quanto accade invece nel resto dell'isola. Sono comunque presenti alcuni segni di abbandono, sia nell'affermazione nei terreni abbandonati dei processi di colonizzazione secondaria con specie della macchia, sia nel crollo dei muri di contenimento delle terrazze. L'agricoltura pantesca attraversa da diversi anni una grave condizione di crisi per la insostenibile crescita dei costi di produzione nei suoli in terrazza.
I pistacchieti di Bronte
Il paesaggio dei pistacchieti si estende per circa 1658 ha nella fascia pedemontana dell'Etna nei comuni di Bronte e Adrano. La significatività del paesaggio è legata alla persistenza storica della coltura tradizionale del pistacchio. L'introduzione della coltivazione del pistacchio in Sicilia risale all'epoca della dominazione araba, ma è solo nel XIX secolo che questa si espande in modo significativo. Gli alberi di pistacchio sono innestati su piante spontanee di terebinto, manca quindi un sesto di impianto regolare e la densità varia da 50 a 500 piante ad ettaro. Si trovano coltivati su terrazzamenti di forma irregolare che si adattano alla morfologia accidentata e articolata del versante del vulcano. Il paesaggio dei pistacchieti è ancora integro anche se processi di abbandono e rinaturalizzazione influenzano negativamente la sua conservazione. La coltura, nonostante evidenti limiti agronomici, si mantiene vitale grazie all'eccellente qualità del prodotto, che trova sbocco sui mercati esteri. L'integrità dei pistacchieti è mantenuta viva grazie al lavoro di oltre 1000 produttori, la maggior parte con appezzamenti di circa un ettaro cadauno. Aspetti strutturali e ambientali rendono vulnerabile il paesaggio del pistacchio di Bronte. La politica della qualità di fronte a un mercato in crescita e alla presenza di una concorrenza sempre più agguerrita potrebbe non risultare sufficiente.
Le policolture pedemontane dell'Etna
L'area dedita all'arboricoltura promiscua del versante nord-occidentale dell'Etna, estesa per circa 1038 ha, si trova nei comuni di Maletto, Bronte e Randazzo. La significatività dell'area è espressa dalla permanenza di un'agricoltura tradizionale dalle lontane origini storiche, caratterizzata dalla vite, dai frutteti promiscui e dal pistacchio, che contrasta l'aspro paesaggio delle colate laviche, estendendosi nelle parti più elevate su terrazzi. Le specie arboree coltivate sono: pero, melo, susino, castagno, noce, nocciolo, ulivo, ciliegio, alle quali viene diffusamente consociata la vite, generalmente ad alberello. Frequentissima la presenza del ficodindia. Molti di questi sistemi colturali promiscui mantengono ancora oggi un buon livello di integrità, espresso anche dalla presenza di elevati valori di biodiversità specifica e strutturale al loro interno. I vecchi sistemi terrazzati, ancora ben conservati, presentano alta densità a differenza delle nuove realizzazioni con terrazzo più ampio per facilitare le lavorazioni meccanizzate. L'abbandono colturale rappresenta il fattore di vulnerabilità più importante per questo paesaggio. Dopo l'intensa messa a coltura delle terre e la raggiunta grande estensione della superficie agricola e terrazzata nel XIX secolo sull'intera fascia pedemontana dell'Etna, l'abbandono dei coltivi ad alta quota ha portato a una riduzione dei limiti altitudinali superiori delle colture, mentre a alle quote più basse, la minaccia deriva dall'urbanizzazione residenziale discontinua.